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Alla scoperta della culla dell'arrampicata sportiva in Italia

Arrampicare sulla pietra di Finale Ligure

12 minuti di lettura
Vacanza, gioco, avventura. Anche nell’epoca dell’arrampicata di massa sono ancora queste le atmosfere che si respirano fra le bianche falesie della capitale ligure dell’outdoor, perse fra il verde della macchia e affacciate sul blu del mare.

Scalare a Finale Ligure è un gioco. È così da sempre, sin da quel lontano giorno del 1968 quando Roberto Titomanlio e Gian Franco Negro salirono l’elegante profilo della parete sud della Rocca di Corno, tracciando la prima via di quello che sarebbe diventato uno dei più vasti e frequentati comprensori d’arrampicata d’Europa.

Certo, sia loro che gli altri scalatori che nel decennio successivo dettero il via alla frequentazione verticale del territorio (i vari Grillo, Vaccari e Calcagno, solo per citare i più conosciuti e prolifici) venivano dall’alpinismo classico e quello che cercavano fra le piccole pareti liguri era un terreno di allenamento dove prepararsi alle grandi salite in alta quota. Ma per tutti fu subito chiaro che Finale non era una semplice “palestra”. Era qualcosa di diverso, qualcosa di più.

Era un’avventura bella da vivere per sé stessa e che cominciava già sul sentiero, nel labirinto inestricabile della macchia mediterranea che bisognava affrontare per raggiungere la base delle rocce. Era l’esplorazione di un mondo sconosciuto e l’incredibile senso di isolamento e solitudine che si prova dove la scalata finisce e comincia l’altopiano, anche se i paesi e i cavalcavia dell’autostrada sono lì a poche centinaia di metri di distanza e il rombo delle auto si confonde con il sibilo del vento fra gli alberi. Era un gioco, un gioco da bambini: uno di quelli dove il divertimento è impastato di sogno e dove non manca mai l’imprevisto.

Anche quando gli alpinisti diventarono climber, all’inizio degli Anni 80, il fascino selvaggio della pietra di Finale non svanì. Non si trattava più di scovare le linee deboli delle muraglie per arrivare all’altopiano, ma c’era ancora tanto da esplorare! La roccia e le sue forme suggerivano enigmi da decifrare con movimenti mai visti prima, neppure immaginati. Bisognava reinventare il gioco, le sue regole, gli strumenti, persino l’abbigliamento. L’alba dell’arrampicata sportiva fu un’esplosione di fantasia e colore: comparvero le scarpette a suola liscia al posto degli scarponi, gli spit luccicanti (rari e distanziati!) sulle placche più compatte, e canottiere e fuseaux in lycra con tonalità da far girare la testa.

Finale Ligure è stato uno dei luoghi di culto per l'arrampicata sportiva dagli anni '80

Domenico Felanda

Finale Ligure è stato uno dei luoghi di culto per l’arrampicata sportiva dagli anni ’80


Calati in questa livrea da Peter Pan del XX secolo i nuovi guerrieri della scalata libera dettero sfogo alla loro creatività, tracciando centinaia di nuove vie, e Finale divenne un vero e proprio laboratorio del gesto. Alcuni dei frequentatori più assidui come Andrea Gallo, Giovannino Massari e Guido Cortese arrivarono in breve a superare itinerari di difficoltà estrema, fra i più difficili di quegli anni in Europa. Il piccolo borgo marittimo della riviera ligure divenne presto “the place to be” della scalata internazionale, il luogo dove, prima o dopo, tutti i più forti finivano col fare tappa: da Wolfgang Güllich a Maurizio “Manolo” Zanolla, da Patrick Berhault a Heinz Mariacher.

Per tutti Finale era sfida sportiva e arrampicata ai massimi livelli, ma non soltanto. Erano i tuffi in mare dopo una giornata sugli appigli, le mitiche serate di bisboccia in compagnia, le pigre mattinate trascorse a far colazione con focaccia e cappuccino nei bar del Borgo, che tanto piacevano al grande Gullich. Era gioco e libertà.

Scalare a Finale Ligure resta soprattutto un gioco...

Roby Benvenuti

Scalare a Finale Ligure resta soprattutto un gioco…


Poi sono arrivati gli Anni 90 e 2000, le falesie attrezzate sono diventate centinaia, migliaia le vie – tanto che oggi le guide di Finale sono tomi spessi almeno quanto “I fratelli Karamazov” – e i frequentatori una vera invasione, in tutte le stagioni. L’esplorazione ormai è finita e l’arrampicata sportiva, qui come altrove, si può ormai definire uno sport di massa.

Ma se pensate che a Finale si vada semplicemente per scalare, per trovare quel “divertimento garantito per tutti in completa sicurezza” che tanto piace alle agenzie di viaggio e agli enti del turismo, vi sbagliate di grosso!

È vero, il brivido dell’imprevisto, l’avventura selvaggia e gli spit a distanza siderale sono (quasi) ovunque un ricordo dei tempi eroici che furono, ma qualcosa dell’antica magia ancora rimane.

Uno dei luoghi simbolo di Finale, la Grotta dell'Edera

Giovanni Merega)

Uno dei luoghi simbolo di Finale, la Grotta dell’Edera


La roccia finalese resta un rebus sempre difficile da decifrare, dove intuito e tecnica valgono quanto e forse più della preparazione atletica, dove il nome e la storia di una via contano più del suo grado, e i gradi, si sa, sono sempre tutt’altro che regalati…

Per divertirsi qui bisogna ancora saper accettare il rischio: quello di fallire, quello di accorgersi di dover ancora crescere e imparare qualcosa e che nulla è garantito. Anche nell’epoca della scalata di massa ci sono luoghi dove è la natura a dire sì o no, e questo (per fortuna) è uno di quelli.

Oggi, come più di 50 anni fa, a finale non bisogna venirci per sport (per “stampare i tiri”), ma per gioco: con la stessa frenesia con cui da bambini si partiva per la vacanza, aspettando con il naso appiccicato al finestrino che il mare comparisse dopo l’ultima galleria; con la speranza che tutto sia meraviglioso e la certezza che qualcosa, alla fine, non andrà secondo i nostri piani.

In fondo è questa l’essenza della scalata e dell’avventura e, se non la vivi così, come dice la pubblicità, “godi solo a metà”!

I “classici” di Finale Ligure

Dopo questa introduzione “lirica” è tempo di passare ai fatti concreti, ovvero la proposta di alcune delle falesie a cui è “obbligatorio” fare visita in una vacanza finalese. Ovviamente in tanta vastità c’è solo l’imbarazzo della scelta e di sicuro di vacanza non ve ne basterà una sola… intanto però cominciate a prendere qualche appunto!

Rocca di Corno, dove tutto è cominciato

È la più “montana” delle pareti finalesi, con la sua forma che, vista dal versante sud, ricorda quella di una croda dolomitica, resa ancor più spettacolare dalle grandi erosioni che ne incidono la parete, come portali di una cattedrale. Non è un caso che proprio qui diressero la loro attenzione i primi arrampicatori-alpinisti che esplorarono il territorio. Il contesto paesaggistico è uno dei più belli: la Rocca svetta sopra i boschi della Val Ponci, antico luogo di passaggio fra la costa e l’entroterra, come testimoniano i tanti siti archeologici e i ponti romani, che ancora oggi sfidano il tempo e sostengono il passaggio dei viaggiatori lungo la carrareccia che attraversa la valle. Corno non è un’unica falesia, ma un comprensorio di svariate pareti dagli stili e dai livelli di difficoltà più diversi. Il versante sud è il regno della scalata tecnica e delle placche grige lavorate a gocce. I gradi (in teoria) sono di livello medio e basso, ma la loro origine risalente ai tempi eroici e la consunzione dovuta ai milioni di mani e piedi che vi sono passati, contribuiscono a renderli più ostici di quanto ci si posa aspettare. Per chi ha braccia più possenti da non perdere è la Zona Rossa, bellissimo settore situato sul versante ovest della Rocca. Qui si scala sugli strapiombi nel cuore di una grande erosione, dove chi ha confidenza col grado 7 avrà di che divertirsi. Viste le esposizioni è quasi inutile segnalare che la frequentazione è prevalentemente invernale o nelle giornate più fresche di primavera e autunno. L’estate è buona per cuocere le uova direttamente sulle placche bollenti…

Monte Sordo, al cospetto del mito

Altro settore storico, altro comprensorio vastissimo, formato da pareti e paretine, falesie e falesiette, per tutti gli stili e le difficoltà. Prima di dirigervi verso la zona più consona ai vostri gusti e di mettere le mani sulla roccia è doveroso fare pellegrinaggio al settore Alveare, per ammirare un doppio capolavoro, quello della natura che ha scolpito la roccia con le forme surreali che danno il nome alla zona e quello dell’uomo. Qui infatti sale la mitica Hyaena, forse la via più famosa di Finale, liberata da Andrea Gallo nel 1986. Il grado è “solo” 8b, poca roba per i top climber di oggi, ma la bellezza dei movimenti e la sua storia ne fanno un vero e proprio monumento della scalata.
Già che siete in zona e nel giusto spirito devozionale fatevi anche un giro al Settore Centrale. Qui anche i mortali possono trovare diversi itinerari su cui scalare, ma nel farlo tenete l’occhio al nome delle vie e all’anno di apertura, così, mentre viaggerete sicuri rinviando i fittoni della Via della Marcia (o Arco dei Guaitechi), potrete dedicare un pensierino a Gianni Calcagno e Alessandro Grillo, che nel 1973 si infilarono su per quella “monster offwidth” armati solo di chiodi e cunei di legno…

Monte Sordo - Alveare

Roby Benvenuti)

Monte Sordo – Alveare


Monte Cucco, mezzo secolo su una parete

Cucco è un Bignami dell’arrampicata finalese, un riassunto della sua storia dalle origini ai giorni nostri. Qui i fratelli Vaccari e Titomanlio aprirono nel 1968 la superclassica del Diedro Rosso. Qui nei primi anni 80 Berhault portò la scalata letteralmente sotto i riflettori, mettendo in scena uno spettacolo notturno di danza-arrampicata. Qui i migliori scalatori di quegli anni e di quelli a venire si sfidarono danzando senza peso sui microappigli di Moon Runner e Radical Chic. E di nuovo qui, a partire dalla seconda metà egli anni 90, Gianni Duregato e Matteo Caropreso volteggiarono fra strapiombi e tetti un tempo impossibili, per regalare ai climber finalesi nuove sfide fino all’8b e oltre… Non spaventatevi però: nonostante queste nobili gesta Cucco è una falesia di popolo. Nei vari settori, nel raggio di pochi minuti di cammino dall’auto, trovano di che divertirsi proprio tutti, dal principiante (disposto magari ad adattarsi a qualche appiglio un po’ unto…) fino a quelli che si ingaggiano con i 7a, 7b e via dicendo. Nei giorni di pioggia poi, oggi come agli albori, qui si ritrovano tutti i local “finaleros”, per scalare al riparo delle onde di di roccia del settore Anfiteatro. Loro giureranno e spergiureranno che di Cucco non ne possono proprio più, ma, chissà come mai, li ritroverete sempre lì…

Rian Cornei, il volto selvaggio di Finale

Il vallone di Rian Cornei è un universo di rocce e pareti, talmente vasto che ancora oggi continua a riservare nuove scoperte e spazi di esplorazione. È un posto dove è bello scalare, ma dove è anche bello (e non difficile) perdersi fra i vari sentieri e sentierini, ritrovandosi magari nella falesia sbagliata, ma dopo aver scoperto angoli magici di bosco e inaspettati affacci panoramici sulla valle. Fra le mete più classiche dell’area ne segnaliamo tre davvero imperdibili. Gli amanti del grado 6 e della scalata tecnica di piedi troveranno il loro regno nella storica Placconata Centrale, che offre numerose vie su splendida roccia grigia. Altro must, nonostante l’affollamento quasi assicurato e i periodi limitati di frequentazione (è praticamente un fornetto naturale e bisogna fargli visita solo con temperature invernali), è la Falesia del Silenzio Inferiore, caratterizzata dalla splendida pancia a buchi su cui salgono una manciata di bellissime via dal 7a al 7b, tutto attorno diversi itinerari, sempre molto belli e accessibili a partire da un solido 6b muscolare…
Chiudiamo la rassegna con le falesie di Camelot 1 e 2, situate a breve distanza fra loro, ma dagli stili decisamente diversi. A Camelot 1 domina la placca e la scalata tecnica su muri verticali, con vie un po’ per tutti fino al 7b. A Camelot 2 regna lo strapiombo a buchi… ma con uscita in placca, dove spesso si nasconde il passo chiave della via. Anche qui i gradi sono accessibili ai più (si va dal 5c al 7a).

Capo Noli… into the blue

Qui i gradi passano decisamente in secondo piano. Scalare a Capo Noli ha poco a che fare con la prestazione sportiva. È un tuffo nella bellezza e nell’anima mediterranea del territorio, punto e basta. Qualcosa di assolutamente raro e prezioso se si pensa che la quasi totalità delle altre falesie finalesi si trova nell’entroterra, dove il mare è una presenza che si sente nell’aria, ma che spesso non è neppure visibile. Vale la pena dunque di tribolare per trovare parcheggio lungo l’Aurelia e di arrischiarsi nei pochi minuti di avvicinamento a piedi, fianco a fianco con le automobili che scambiano la statale per un circuito di Formula 1.

Traverso di Capo Noli

Marco Valente

Traverso di Capo Noli


Una volta scavalcato il parapetto è un altro mondo: solo colori e odori di roccia e di mare, un mare così vicino che… è meglio verificare il moto ondoso prima di scendere! L’esperienza vale più del grado, dicevamo, quindi poco importa quale fra i quattro o cinque settori della zona sceglierete. Se volete mettere le mani su appigli storici, ovviamente, dovete far visita al settore Dancing Dalle, che prende il nome dalla celebre via attrezzata da Grillo e Berhault nel 1982. Ma la goduria è la medesima anche nel più facile settore Easy Dalle o sul Primo e Secondo pilastro. Anche se in questo articolo ci stiamo focalizzando sui monotiri in falesia, non si può non citare infine il famoso Traverso: 150 metri sul filo dell’onda, destinati ad entrare nei sogni del primo di cordata… e negli incubi del secondo (scherziamo, ovviamente!).

Meteo e stagionalità

A Finale si scala tutto l’anno. Volendo… Sì perché se in inverno, primavera e autunno è facile individuare fra le numerosissime falesie quella più adatta al clima e alle proprie capacità e propensioni, d’estate la scelta è molto più ristretta. Il clima mediterraneo certo non aiuta e l’esposizione delle pareti neppure. Non è facile, infatti, trovare settori che rimangano in ombra tutto il giorno o quasi (fra le rare eccezioni segnaliamo il Bric del Frate e la Gola dei Briganti), per il resto bisogna imparare a giocare d’astuzia con i raggi del sole, scalando la mattina nelle falesie esposte a ovest o nel pomeriggio in quelle esposte a est. E dedicando il resto della giornata a tuffi e struscio sul lungomare.

Lubna (7b), alla Grotta dell'Edera di Monte Sordo

Alessandro Albicini)

Lubna (7b), alla Grotta dell’Edera di Monte Sordo


Altro elemento da tener sempre presente (in ogni stagione) è l’umidità. Quando il vento si ferma e sulla riviera scende la famosa maccaia gli appigli sulle vie più tecniche (e su quelle più unte) diventano decisamente “sfuggenti”…

Le guide di arrampicata per Finale Ligure

Due i testi sacri cui fare riferimento per la scalata in terra finalese.

Il primo è il doppio tomo in cofanetto intitolato “Finale 51” (752 pagine complessive), pubblicato da Edizioni Idee Verticali nel 2019 e firmato da Andrea Gallo, uno degli “inventori” dell’arrampicata finalese.

Buchi, gocce e tacche...la sinfonia della roccia finalese

Marco Valente)

Buchi, gocce e tacche…la sinfonia della roccia finalese


Altrettanto dettagliato e ponderoso è il volume “Finale Climbing” (808 pagine) della casa editrice Versante Sud, pubblicato nel 2017 e curato da Marco Tommasini, anch’egli assiduo frequentatore delle falesie finalesi nonché prolifico chiodatore (e ri-chiodatore) di svariati settori.

Punti di appoggio

Il centro nevralgico della vita sociale dei climber finalesi è lo splendido abitato di Finalborgo, inserito nel novero dei Borghi più Belli d’Italia.

Qui fra i tanti negozi di articoli di arrampicata e i bar frequentati dagli scalatori è facile reperire tutte le informazioni più aggiornate sui vari settori e le condizioni delle falesie. Nel borgo ha sede anche la società delle Guide Alpine di Finale (Guidefinale.com).

Per organizzare il proprio soggiorno in riviera riferimenti utili sono il sito turistico regionale Lamialiguria.it e quello specificamente dedicato alla vacanza attiva: Beactiveliguria.it.

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